L’affondo di Sheryl Fink, ricercatrice dell’Ifaw: «Approfitteremo di Vancouver 2010 per fare pressione»

Il bando approvato in Europa che mette fine al commercio dei prodotti di foca nell’Unione ha riacceso le speranze di molti attivisti che ora si augurano che anche il Canada possa decidere di mettere fine a quella che è considerata una pratica disumana. Ma c’è chi non si fa troppe speranze sul fatto che la situazione possa cambiare, perché, spiega, la posizione di Ottawa non dipende da considerazioni di natura economica, né da dubbi sull’umanità di questa pratica, quanto dalla politica, e per essere più precisi, il punto è che «il governo di Ottawa è tenuto in ostaggio dal Newfoundland». E il gesto di Michaelle Jean, che questa settimana ha mangiato un pezzo di cuore crudo per mostrare la propria solidarietà con gli Inuit, non ha certo rasserenato gli animi: al contrario, ha riaccesso il dibattito.
«L’Unione Europea ha preso la decisione giusta e ha dimostrato una grandissima leadership mettendo al bando i prodotti di foca. Quello che ci auguriamo è che ora Ottawa trovi il coraggio per fare lo stesso passo anche in Canada». A parlare così è Sheryl Fink, ricercatrice dell’International Animal Welfare (Ifaw), associazione che da anni si occupa della mattanza sulle coste canadesi.
Nonostante non abbandoni la speranza che Parliament Hill possa prendere una decisione del genere, non si aspetta che un passo del genere possa arrivare presto. «A giudicare dalle prime reazioni da parte del Canada, che ha subito detto di essere pronto a portare la questione davanti al Wto, no - dice - ma si tratta di una decisione irresponsabile dal punto di vista economico». Rivolgersi all’ente internazionale per il commercio, spiega, costerebbe ai contribuenti canadesi milioni di dollari, «che è più di quanto valga la caccia alle foche».
Lo stesso Harper, all’indomani dell’approvazione del bando, aveva detto da Praga, dove si trovava per firmare un protocollo di intesa con le autorità europee, che il Canada non avrebbe messo in pericolo le relazioni commerciali con l’Ue. «Si tratta di un accordo che vale miliardi di dollari, non vale la pena rischiare», dice la Fink.

In tutto questo sono in molti a chiedersi quale potrebbe essere il destino dei cacciatori, se il Canada decidesse di mettere fine a questa pratica. «Concordiamo sul fatto che queste persone debbano essere compensate - dice - ma in questo momento il valore dell’industria dei prodotti di foca è talmente basso che credo che i cacciatori avrebbero tutto da guadagnare da una soluzione di questo genere». Il futuro, inoltre non sembra roseo per questo tipo di industria, continua la Fink, con sempre meno mercati a disposizione. «Questo mi sembra il momento giusto per mettere fine a questa pratica, ricomprare le licenze dei cacciatori e aiutarli a cambiare lavoro. Questo - conclude - sarebbe un uso decisamente migliore dei soldi dei contribuenti rispetto all’ipotesi di rivolgersi al Wto».
Ma perché Ottawa non sa rinunciare alla caccia alle foche, visti i non pochi problemi che l’accompagnano? «L’unica ragione per cui si continua ad andare avanti in questo modo ha a che vedere con la politica - dice - Sostanzialmente nessun partito vuole mettere in pericolo la possibilità di conquistare i sette seggi che il Newfoundland ha in parlamento. Per questo si cerca di accontentare e assecondare i politici e i cittadini di quella Provincia. E in questa situazione è come se il governo fosse tenuto in ostaggio». «Sappiamo che la maggioranza dei canadesi è contro la caccia alle foche - continua - perché non è economicamente conveniente e non è umana nei confronti di questi animali. La ragione è puramente politica, si vogliono mantenere questi seggi».
E mentre Ottawa ha visto respingere dal Comitato olimpico canadese la proposta di far indossare agli atleti che rappresenteranno la nazione almeno un capo di abbigliamento ricavato dalla pelle di foca, Vancouver 2010 diventerà il palcoscenico ideale, per l’Ifaw canadese, per tornare a manifestare contro questa pratica. «Gli occhi di tutto il mondo saranno sul Canada, e ne approfitteremo per fare ancora più pressione sul governo - dice - Ora che anche l’Europa ha approvato questo bando, Ottawa ha l’occasione di uscire dalla situazione in cui si trova, di abbandonare questa industria con eleganza». Un’occasione per la Fink che permetterebbe al Canada, «che proprio a causa della caccia alle foche non gode di una grande reputazione in giro per il mondo», di tornare ad essere considerato una Nazione rispettosa dell’ambiente.

Di ALESSIO GALLETTI
Fonte: Corriere.com